Il tema dei benefit per i lavoratori e le lavoratrici della filiera tessile-abbigliamento è sempre più sentito: è ormai essenziale poter offrire ai dipendenti un portafoglio di servizi ricco ed efficiente, sia per attirare nelle aziende i migliori talenti, sia per fidelizzarli. È ciò che cerca di fare Welfaremoda, nel cui pacchetto si è aggiunto recentemente un contratto Ltc firmato Zurich e Ima Italia Assistance
Quando si parla di settore della moda in Italia è proprio il caso di fare riferimento al tessuto sociale. Il sistema della moda, del tessile e dell’abbigliamento è, da sempre, caratterizzato dallo strettissimo rapporto tra dipendente e azienda. Il tessuto sociale, in questo caso, è connaturato con il territorio, che s’intreccia con la tradizione e la storia. Pensiamo a paesi come Crespi D’Adda o Valdagno, costruiti letteralmente attorno a grandi imprese manifatturiere: un tessuto sociale, appunto, unico dove l’impresa si rispecchia nel territorio e viceversa. E cos’era quel rapporto biunivoco se non la più alta espressione di un welfare contrattuale che, agli inizi del ‘900, non si chiamava ancora così?
“Oggi, lo sappiamo bene, le condizioni sono diverse, ecco perché dobbiamo imparare a cambiare senza abbandonare la storicità del nostro sistema di welfare”. A dirlo è stato il presidente di Sistema Moda Italia, Sergio Tamborini, in occasione di un convegno sul sistema del welfare del settore moda, tessile e abbigliamento, organizzato a Milano insieme ai sindacati nazionali di categoria Femca-Cisl, Filctem-Cgil e Uiltec e agli enti bilaterali Previmoda e Sanimoda. I due istituti, che in base alle previsioni del contratto nazionale gestiscono il sistema di welfare del settore, si sono riuniti sotto l’unica definizione di Welfaremoda, per coinvolgere sempre più lavoratori, in un comparto che, a livello nazionale conta circa 370mila addetti, di cui il 60% donne.
NON SOLO GRANDI FIRME
Il tema delle prestazioni di welfare per i lavoratori è sempre più sentito in tutti i settori, non certo solo in quello della moda: oltre alla retribuzione adeguata, ovviamente, chi entra in nel mercato chiede sempre di più un lavoro che permetta di raggiungere un benessere complessivo, flessibilità, possibilità di coniugare il tempo in azienda e il tempo libero.
“Anche per le aziende del settore tessile-moda è ormai essenziale poter offrire ai propri dipendenti un portafoglio di servizi di welfare ricco ed efficiente, ciò sia per attirare nelle aziende i migliori talenti, sia per fidelizzarli”, ha spiegato Tamborini.
“Ma il punto dolente – ammette – è la diffusione del welfare contrattuale tra le piccole imprese”. Occorre, per questo, ampliare le tutele, riuscire a coinvolgere tutti i player del mercato. La divulgazione del sistema di welfare può diventare anche uno strumento fondamentale per attirare i giovani lavoratori, che rischiano di vedere nelle grandi firme l’unico sbocco possibile, o auspicabile, nel settore moda.
UNA LONG TERM CARE IN PIÙ
È necessario un cambio culturale, si diceva: oggi, secondo gli stessi dati di Sistema Moda Italia, otto candidati su dieci chiedono nel contratto qualche forma di welfare aziendale, nonché più tempo libero da passare con la famiglia.
Per dare ancora più peso all’offerta di welfare contrattuale del settore, si è aggiunta dal primo aprile la Ltc. “Una polizza – ha spiegato Marco Allievi, head of corporate, life and pensions di Zurich Italia – che mette al centro la non autosufficienza come problema sociale e familiare”, e che offre subito un capitale di 22mila euro e garantisce una rendita di 1.800 euro al mese.
Paola Bianchi, chief commercial officer di Ima Italia Assistance, ha illustrato il pacchetto di servizi di consulenza e supporto in caso di non autosufficienza. Il modello di Ima prevede piani personalizzati, pensati da “tutor assistenziali che seguono il caregiver, che è spesso un familiare, in funzione dell’intensità del bisogno, offrendo servizi in base alle disponibilità locali”.
LE SFIDE DELLA TRANSIZIONE DEMOGRAFICA
Il modello di welfare del settore della moda italiana si inserisce in un quadro del welfare integrativo che ben conosciamo e che ancora fa fatica a imporsi a livello sistemico. Ne ha parlato nel suo intervento Alberto Brambilla, presidente del centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali. “L’Italia – ha ricordato – è tra i primi cinque paesi al mondo per protezione sociale e in Europa è appena dopo la Francia. Non è vero che lo Stato italiano spende poco: il vero problema sono la spesa assistenziale e la distribuzione del carico fiscale, nonché un’evasione diffusa”.
Brambilla ha sottolineato come, non solo in Italia, si stia attraversando “la più grande transizione demografica della storia”. Anche per questo, il welfare contrattuale è indispensabile per i prossimi 25 anni per sostenere la transizione demografica, considerato che il nostro paese è al primo posto per numero di ultrasessantacinquenni e ultraottantenni. “Non possiamo più andare avanti con un welfare complementare così modesto”, ha detto Brambilla, esortando a “cambiare totalmente la contrattualistica”.
IN AZIENDA, DOV’È IL CAMBIO CULTURALE?
Il tema delle relazioni industriali è stato al centro di un bel dibattito tra le parti sociali, organizzato in coda all’evento milanese. Sonia Paoloni, segretaria generale di Filctem-Cgil, ha ricordato come sanità e previdenza debbano continuare a essere pubbliche ma, soprattutto dopo la riforma Dini, “ci siamo resi conto che c’era bisogno di un’integrazione”, ha precisato. La bassa adesione delle piccole imprese è un problema serio giacché l’80% delle imprese della filiera sono aziende con meno di 50 dipendenti. “Spesso – ha spiegato Paoloni – è mancata la volontà di sensibilizzare i lavoratori e di informarli: la destinazione del Tfr è un problema. Molte aziende sono rappresentate da consulenti del lavoro che le spingono verso fondi privati non contrattuali. A questo si aggiunge il problema del precariato, che non facilità le scelte dei lavoratori e delle lavoratrici più giovani”.
La mancanza di informazione in azienda è un problema anche secondo Benedetta Missaglia, segretaria generale di Uiltec-Uil, cui si aggiunge il tema di una più corretta presa in carico delle esigenze di una forza lavoro a maggioranza femminile: “purtroppo – ha evidenziato Missaglia – le lavoratrici donne si trovano spesso a dover far fronte alle problematiche di un genitore affetto da non autosufficienza, costrette quindi a scegliere se lavorare o curare il genitore malato”. Da quando Sanimoda è entrata nei contratti anche Previmoda ha avuto una crescita delle adesioni: un risultato positivo, frutto della contrattazione nazionale.
“Ma se manca la parte attiva all’interno dell’azienda, su questi temi, dov’è il cambio culturale?”, si è chiesta la segretaria di Uiltec-Uil.
MA IL BICCHIERE È MEZZO PIENO
Dal fronte dei datori di lavoro, Giovanni Brugnoli, presidente di Previmoda e vice presidente di Confindustria per il capitale umano, ha risposto che invece l’impegno per attivare il welfare integrativo anche nelle Pmi c’è: “dal 2020 – ha detto – c’è stata un’apertura a una visione diversa della contrattualistica”. Previmoda, ha continuato, “è un fondo che continua a cambiare pelle, adeguandosi al cambiamento sociale”. Occorre, però, alzare l’asticella delle opportunità: “puntare sul rapporto di lavoro e non solo sul posto di lavoro, perché il rapporto si modula nel tempo e ci saranno grandi opportunità per il settore”, ha chiosato.
Anche se le adesioni alla previdenza integrativa sono ancora contenute, “il bicchiere è mezzo pieno e non mezzo vuoto”, ha detto Gianluca Brenna, presidente di Sanimoda. “Il cambiamento culturale stiamo provando a farlo”, ha argomentato Brenna, citando le “centinaia di assemblee” organizzate presso le aziende, l’attivazione degli sportelli per il welfare, la formazione di referenti. Gli altri ingredienti della ricetta? “Devono esserci le buone relazioni industriali, dobbiamo focalizzarci sui giovani, che sono quelli che credono che la pensione non l’avranno proprio, e bisogna arricchire la cultura finanziaria”, ha concluso Brenna.